Fulvio Abate

Negli anni in cui Gaspare Mutolo era mafioso a Palermo, io ero invece comunista, nella sua stessa città. Ero, anzi, comunista e critico d'arte. Brillava la coda degli anni Settanta, e sembrava davvero meraviglioso andare in giro per mostre; per il resto, ragionando di preferenze pittoriche, mi piacevano le cose d'avanguardia, molto, difficili difficili. Un giorno, ora che ci penso, un amico di nobile famiglia, mi portò a casa sua, lì, sbirciando le pareti del salotto mi accorsi che c'erano un sacco di quadri in stile “naif”. Li dipingeva sia madre, principessa e artista dilettante, fra i soggetti anche l'immagine della strage di Portella della Ginestra, un prato sotto la montagna, e poi asini, muli, contadini e bandiere rosse: la storia ancora intatta, la storia pochi istanti prima dei fucili di Salvatore Giuliano e i suoi banditi, amici dei mafiosi.
 
Non erano bei quadri, quelli della madre del mio amico di molti anni fa; lei sarà stata pure proprietaria di un feudo, ma quanto a talento non valeva un cazzo, e tuttavia aveva perfino il coraggio di far piovere bandiere rosse dentro i suoi quadri, roba che io fossi stato al posto del segretario comunista di allora, Berlinguer, le avrei pure fatto causa. La motivazione? Mancanza di estro e fantasia.    L'estro e la fantasia che ho trovato invece nelle tele dell'ex mafioso Gaspare Mutolo, insieme a un grande senso dello stile, che è poi la cosa che ti permette di riconoscere “la mano” dell'artista. Ti fa dire: ecco, questo quadro l'ha fatto lui, è suo, lo voglio, me lo metto in casa. In ogni caso, tornando sempre allo stile, faremmo un torto a Gaspare se dicessimo che, allo stesso modo della signora appena citata, egli si muove nel perimetro della cosiddetta pittura “naif”, cioè una roba semplice, incapace di rispettare le proporzioni, perché se non sai dove cominciare faresti bene a riporre i pennelli nella trielina, e stop.
 
Io sono convinto che il talento non ha bisogno di regole certe, né di stelle fisse segnate su un foglio, il talento infatti - e i risultati della pittura di Gaspare Mutolo lo dimostrano - ti permette di stabilire di volta in volta le proporzioni giuste, ti fa decidere qual è la forma di una città, di un paesaggio, di un albero, di un cesto di fiori. Come il doganiere Rousseau, infatti, Gaspare arriva alla polpa dell'espressione, dove gli altri, magari più titolati di lui, non saranno mai.
Fulvio Abbate
 

Maria Falcone Chi possiede una certa conoscenza della storia della mafia, sa quanto sia stato importante il ruolo dei “pentiti” nella lotta a tale fenomeno criminale. Ricordo ancora l'emozione di Giovanni quando Tommaso Buscetta decise di iniziare a collaborare.
 
La storia di quegli anni ha dimostrato l'importanza di quella decisione anche perché a quella collaborazione altre ne seguirono, tutte importanti che permisero di andare molto avanti nelle indagini. Dopo le stragi del '92 e dopo l'approvazione della legge sui collaboratori di giustizia che prevede benefici per chi si “pente”, il numero di tali collaboratori è aumentato in modo notevole creando dispute giuridiche sulla veridicità delle loro rivelazioni. In realtà il collaborante rimane uno strumento giudiziario importantissimo anche se ogni confessione deve essere attentamente riscontrata.
 
Gaspare Mutolo rientra tra quei pentiti che arrivarono alla collaborazione dopo una sofferta decisione, in un momento particolare della storia dell'Italia, e resta uno di quelli che ha creduto in questa scelta. Alla fine di questo suo percorso interiore ha incontrato anche l'arte e questo credo sia per lui un grande premio. Mi auguro che nella pittura possa trovare la pace spirituale.
Maria Falcone
  

Gabriele Romagnoli Abbiamo incontrato Gaspare Mutolo lavorando a un progetto che ricostruiva il percorso dei principali pentiti della criminalità organizzata in Italia. La singolarità del personaggio è subito risultata evidente. La sua storia parlava per lui; la sua scelta è stata pulita, pionieristica e non dettata dalla vendetta o dal tornaconto. Ma era soprattutto lui a parlare per sé, con inedita vivacità e franchezza. Mutolo è il miglior giudice di se stesso: non rinnega nulla e si condanna per tutto. Vive la seconda esistenza che gli è stata concessa con la consapevolezza dei limiti e la schiettezza dei fini. Non vuole protezioni per non allargare ad altri il suo rischio, cammina a testa alta, ma dentro di sé tiene il capo chino come se la sentenza fosse un pronunciamento che l'accompagna ovunque vada.
 
La sua svolta ha cambiato il destino di molti, ma soprattutto ha cambiato lui. Nella seconda vita la sua passione è la pittura e in quel che dipinge affiora l'uomo che troppo a lungo non è stato. Nelle sue casette, nei paesaggi di una Sicilia dove non può tornare ci sono un richiamo alla semplicità e un rifugio, accogliente e definitivo, dal male.
Gabriele Romagnoli (in foto)e Claudio Canepari

Marcelle Padovani
C'era una volta Gaspare Mutolo, ma da vent'anni non ha più niente a che vedere con Cosa Nostra. La sua prima conversazione da futuro "pentito" la fece con Giovanni Falcone nel lontano 1991. Abbiamo molti motivi per pensare che fu decisiva nella sua decisione di scegliere lo Stato contro il crimine organizzato. Con coerenza e determinazione. E non tanto, o non soltanto, per rivelare nomi e traffici della più antica e radicata delle mafie. Ma per cambiare vita. Orizzonti. Amicizie. Valori.
 
Quest'uomo, che ha fatto - anche - 27 anni di carcere per traffico di droga e associazione mafiosa, che ha conosciuto in carcere il giovane Totò Riina e il vecchio Luciano Liggio, quest'uomo nascondeva uno strano segreto. Un segreto artistico: il gusto per la pittura. La pittura vera, colorita, piena, solare, palpabile come i profumi e le luci della sua isola. Con un pizzico di "naif" che potrebbe sorprendere in un ex criminale accusato di ben 12 omicidi. 
 
Gaspare Mutolo avrà dunque avuto due vite. La prima da killer e trafficante di droga. La seconda nata con la sua collaborazione con lo Stato, che gli ha fatto scoprire, tra tante cose, il gusto della trasparenza, della pulizia morale, dell'onestà, della fatica di vivere. E' così che un "uomo d'onore" può anche diventare pittore. Con l'aiuto dello Stato.
Francesco La Licata e Marcelle Padovani (in foto)
 

Sabina Guzzanti
Solo gli intenditori hanno in casa un Mutolo.
 
Gaspare Mutolo, collaboratore di giustizia che permise di far condannare Bruno Contrada, numero 3 dei servizi segreti italiani e complice di cosa nostra, è ormai da molto tempo pittore.
 
Quando l'ho intervistato, mi ha raccontato come ha cominciato. Aveva conosciuto un altro pittore in carcere e vedendolo lavorare aveva scoperto di avere questa passione. Il tizio che lo ispirò era dentro per aver ammazzato la moglie che secondo il codice d'onore mafioso è una cosa che non si deve fare. Quindi Gaspare dovette sfidare le ire dei suoi capi per farsi trasferire nella cella del pittore per imparare a dipingere. Oggi la pittura è una passione sincera che porta avanti da anni. Io ho comprato qualcuno dei suoi quadri e penso che ognuno dovrebbe avere un Mutolo in casa. Sono quadri pieni di colori, che raccontano di una trasformazione che dà speranza.
 
Troppo spesso i collaboratori di giustizia vengono usati e poi abbandonati al loro destino, senza lavoro, senza prospettive. Eppure quel poco che sappaimo della mafia e delle sue collusioni col mondo "per bene", lo dobbiamo a loro.
Sabina Guzzanti