Gaspare Mutolo
la metamorfosi dell’anima

 

“L’uomo vive la storia, ma è la sua anima di pittore che ne coglie l’essenza e la trasferisce sulla tela, lasciando che l’istinto guidi la sua mano”

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Questa è la sensazione che ricevo ammirando le opere di Gaspare Mutolo, una sorta di viaggio nella memoria dove passato e presente si fondono, restituendo all’osservatore scenari fantastici in cui l’autore, spaziando tra incantevoli paesaggi e figure emblematiche, delinea i momenti più importanti della sua vita.
Lo considero un artista alquanto singolare, poiché la storia lo annovera tra i protagonisti di uno dei periodi più drammatici del nostro paese.
Nasce a Palermo il 5 febbraio del 1940. In un’Italia già povera, la guerra ha reso ancor più precaria la condizione economica di molte famiglie, compresa quella del piccolo Gaspare il quale, come molti suoi coetanei, si trova ad affrontare una realtà quotidiana tutt’altro che facile. Le vicissitudini familiari, qualcuna più dolorosa di altre, come la lontananza di sua madre malata, contribuiscono ad accentuare l’indole inquieta e ribelle del giovane Mutolo, costretto a lasciare la scuola a soli otto anni per aver reagito in malo modo alle punizioni corporali inflitte dal maestro.
Disperato, suo papà Vito decide di affidarlo alle cure del signor Salvatore Vetrano, proprietario di un’officina di riparazioni auto: sotto la sua guida, pensa, Gaspare potrà almeno apprendere il mestiere di meccanico. Il signor Vetrano appartiene alla famiglia mafiosa di Paolo Bontate per cui, di tanto in tanto, fanno visita all’officina uomini che Gaspare intuisce essere clienti speciali, “diversi” da quelli abituali.
Ai suoi occhi di ragazzo, questi signori dai modi gentili e ben vestiti rappresentano modelli da imitare, gli regalano laute mance per piccoli servigi, soprattutto, sono rispettati e ossequiati da tutti, ed è questo esattamente ciò a cui Gaspare aspira per la sua vita: “...un giorno, anch’io sarò come loro”, si ripromette. All’epoca, la parola mafia era considerata tabù, dell’organizzazione si negava addirittura l’esistenza, mentre era una realtà presente e con radici ben salde nel territorio siciliano, quindi molti ragazzi, anche giovanissimi, entravano facilmente in contatto con la malavita locale.
Gaspare è un adolescente astuto ed intraprendente, ma soprattutto coraggioso e leale, requisiti che non passano certo inosservati tra i suoi “colleghi” delle borgate di Palermo dove è meglio conosciuto come Asparino.
Il coinvolgimento in attività illecite lo conduce inevitabilmente al primo arresto per associazione a delinquere, a soli venti anni.

Più tardi, nel 1965, ritenuto responsabile della scomparsa di Benito Albamonte, viene ingiustamente accusato e nuovamente arrestato per associazione mafi osa insieme al capo mandamento di Partanna Mondello, Rosario Riccobono. Prima che venga dimostrata la sua estraneità ai fatti, Mutolo trascorre un periodo di detenzione nel carcere dell’Ucciardone dove incontra, per la prima volta, quello che sarebbe diventato il più spietato boss della storia mafi osa siciliana: Totò Riina. Tra quest’ultimo, di 10 anni più grande e già capo riconosciuto, ed il giovane Mutolo, nasce un rapporto di fi ducia che, una volta fuori, diventa collaborazione talmente stretta da indurre Riina a proporre per il giovane Asparino l’affiliazione a Cosa Nostra.
Entrare uffi cialmente nella più nota associazione criminale signifi ca dare una svolta alla propria vita, ammette Gaspare: “Finalmente quella porta dorata si apriva anche per me”. Inizia così la “carriera mafi osa” di Mutolo, che in breve diviene un grosso traffi cante di droga: questo modifi ca rapidamente la sua condizione economica e il suo status di uomo di rispetto.

Da allora in poi, la sua vita di soldato nei ranghi di Cosa Nostra è tutta dedicata alle “attività” dell’organizzazione: alterna sequestri, omicidi, estorsioni ed intimidazioni nonché arresti e lunghi periodi di detenzione presso i carceri italiani, tra cui il penitenziario di massima sicurezza di Sollicciano. Durante la reclusione nel carcere fi orentino, nel 1983, Gaspare, che istintivamente ha sempre provato trasporto per l’arte, stringe amicizia con l’ergastolano Francesco Mungo, detto l’Aragonese, con il quale condivide la cella e dal quale apprende le tecniche della pittura. Tra colori, tele e pennelli, prende sempre più corpo l’intima trasformazione, sulla quale peraltro riflette già da tempo, anche a causa delle forti perplessità manifestate da sua moglie Maria Santina: il clima stragista e le vere e proprie mattanze che si susseguono, senza pietà neppure per donne e bambini, sconvolgono il cuore della sua compagna, che esce dal suo abituale silenzio: “State uscendo tutti pazzi!“, dirà, in un moto di rabbia, rifi utando di proseguire su quel sentiero, dove ormai è stato abbandonato qualsiasi codice d’onore.
Gaspare, che sin da ragazzo aveva creduto profondamente “nell’etica comportamentale del mafioso” e nelle sue ormai obsolete regole, in cuor suo riconosce che Santina ha ragione: la mafi a ha totalmente cambiato pelle, ormai vive solo di sangue e terrore. Decide quindi di rompere gli indugi e di prendere le distanze da quella criminalità senza regole in cui oramai non si riconosce più, per dare il proprio contributo alla giustizia.

La decisione

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Il 15 dicembre del 1991, in seguito all’omicidio del giovane Giovanni Bontade, Mutolo richiede di testimoniare rivolgendosi all’unica figura istituzionale di cui si fida: il magistrato palermitano Giovanni Falcone. “La mia confessione inizia dal suo ufficio, in Sicilia, e ci porterà fino a Roma...” esordisce Mutolo parlando al giudice. Le sue rivelazioni, infatti, offrono alle indagini una chiave di lettura delle dinamiche interne di Cosa Nostra che finora era mancata e gettano squarci di luce sulle relazioni occulte tra mafia e pezzi dello stato. In qualche modo, le sue dichiarazioni segnano una strada nuova per sé e per i collaboratori che ne seguiranno l’esempio: a differenza dei suoi
predecessori, che avevano sempre puntato il dito sugli altri, tacendo sulle proprie responsabilità, Mutolo ritiene doveroso confessare anche omicidi e reati da lui stesso commessi, e pagarne le conseguenze.
Da quel momento si apre una nuova stagione in cui la verità verrà a galla in maniera sempre più completa. Più tardi, nel 2012, l’incontro con Giorgio Bongiovanni, direttore del giornale Antimafia Duemila, costituisce il passaggio determinante verso una maggiore consapevolezza e l’evoluzione della trasformazione interiore dell’ex mafioso. È frequentando la stessa realtà che, nel 2016, conosco Gaspare.
Sta attraversando un momento davvero difficile: sua moglie Maria Santina non c’è più, un male terribile gliel’ha portata via, lasciandogli il cuore profondamente lacerato.
Il dolore è tale da fargli pensare di abbandonare tutto per ricongiungersi a lei, ma l’amore per i loro quattro figli lo trattiene.
Si aggrappa disperatamente alla pittura, sua àncora di salvezza: l’arte diventa la ragione di vita e gli dà la forza per andare avanti tenendo lontani i cattivi pensieri.

La pittura

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“Non ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, ma dipingere è tutto, per me. Quando siedo davanti al cavalletto non mi accorgo del tempo che passa, confessa, nei miei quadri c’è tutto il mio mondo, passato e presente”.
Semplice e spontaneo, lo stile di Mutolo è dettato dal sentimento oltre che dalla rifl essione. Come molti pittori naif è un autodidatta, e resta svincolato dalle regole delle rappresentazioni classiche ma, anche in assenza di parametri prospettici, riesce ad offrire la sua interpretazione genuina e immediata della realtà, ad imprimere una bellezza tutta personale e molteplici signifi cati ai suoi dipinti. La fase preparatoria dei colori ad olio è quasi un rituale, al quale Gaspare si dedica con sorprendente delicatezza: ritaglia accuratamente i cartoni del latte, che conserva appositamente perchè li preferisce alla tavolozza per miscelare i colori; poi, la mano ruvida, segnata dal tempo, si muove lieve sulla tela, il tocco gentile ma deciso defi nisce i contorni, riempie gli spazi, così, i ricordi che emergono dalla sua memoria
prendono forma visibile, e gli permettono di evadere dalle anguste pareti del carcere verso incontaminate distese di verde nelle quali si trova piacevolmente immerso l’osservatore, traendone un benefi co senso di pace e di libertà. Colori e scenari della sua terra sono gli elementi seduttivi dei suoi quadri: il rosso acceso dei tetti sopra le casette di Mondello, l’azzurro intenso del mare del golfo di Palermo, il candore dei gabbiani che ne sorvolano i cieli, il verde rigoglioso del sottobosco della Piana degli Albanesi che si ricopre d’oro in autunno, le suggestive sfumature dei tramonti. Una terra solare, affascinante e bellissima, la Sicilia, dalle innumerevoli contraddizioni, e, sotto traccia, una spaventosa zona oscura, che Gaspare ha conosciuto dall’interno: è la piovra dai mille tentacoli, che tutto sovrasta e che ovunque si insinua, condizionando pesantemente la vita delle persone, le dinamiche ambientali, l’intera società. Una volta presa coscienza del male rappresentato dalla mafi a, Gaspare ha scelto di cambiare totalmente strada, una vera e propria inversione di marcia che lo ha trasformato fi no a farlo diventare l’uomo che è oggi. Il percorso artistico di Gaspare Mutolo rifl ette, dunque, i vari momenti della sua vita. La detenzione che si esprime con tonalità scure, sbarre, scorci di città lontane. L’introspezione, la presa di coscienza di
essere stato egli stesso preda della piovra, che ancora lo ottunde e si fa viva nel ricordo dei misfatti che ha compiuto. La liberazione dalla condizione di mafi oso, la riscoperta di valori umani e spirituali, nonché della legalità: aspetti che risaltano grazie ai colori brillanti, che infondono nell’animo la speranza di un mondo diverso, più giusto e armonioso.

Il cambiamento

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Col tempo, i rifl ettori si sono spenti attorno a Mutolo, il boss di una volta è diventato e desidera restare un umile pittore che esprime se stesso attraverso la sua arte. “So di aver commesso errori irrimediabili. Ho spezzato molte vite e distrutto quelle dei familiari, oggi sento ancora forte il desiderio di riscattarmi completamente. Mi sono di aiuto e di esempio le parole di coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di perdonarmi: a queste persone va tutta la mia riconoscenza.” La lenta ma radicale trasformazione interiore ha fatto nascere in Gaspare il desiderio di spendere il proprio tempo indicando soprattutto ai giovani i pericoli di una vita “facile”, ed insegnando che amore, onestà, giustizia e fratellanza sono i valori fondanti dell’umanità: gli stessi valori che lo hanno avvicinato ad iniziative di solidarietà, tanto che devolve abitualmente una parte dei proventi delle mostre a progetti sociali.

In particolare, ha scelto di sostenere alcune onlus che assistono bambini in condizioni di disagio ai margini del mondo. Non è tanto il valore del contributo che conta, per Gaspare, ma lo spirito con cui si prodiga in favore di chi più ha bisogno: ogni briciola è donata col cuore da un uomo che, pervaso da un’intima aspirazione di totale riscatto, ha fatto pace con la società e vive alla costante ricerca di miglioramento per se stesso, per dimostrare a chi lo incontra che cambiare è possibile, se lo se si vuole davvero.

Maria Santamaria